venerdì 30 novembre 2012

Le freak, c'est chic?

La canzone che faceva impazzire il popolo degli anni '80 utilizzava un verbo che ormai è il mio pane (gluten-free, ribadisco) quotidiano. Freak out. Impazzire, degenerare, scadere nel più profondo abisso delle ipermetropie mentali. Non mi dite che non sapete cosa sia. Non dite bugie. Nella vostra testa c'è sicuramente un omino nazista che vi fa sentire delle nullità. E voi non lo capite perchè il tedesco l'avete studiato si, ma ormai è completamente dimenticato, ma l'effetto di una voce stridula che non usa praticamente mai le vocali, lo sentite eccome.
Vabbè. Sto impazzendo. E le freak, che sarei in questione proprio io, non è per niente chic. Ho i capelli a scopa di saggina, la foresta pluviale sulle gambe e il perenne sguardo allucinato di un'insonne sotto prozac. Troppa carne sul fuoco, troppi pensieri, troppe ansie. E nella categoria ansia inserisco il tostapane che puzza di bruciato quando è acceso, le botte che prendo la mattina presto contro il tavolo della cucina, le calze con il buco. Il mio povero cervello ha deciso però di spegnersi. Poverino, ma certo caro, spegniti pure, del resto la tua padrona ti fa lavorare per niente. Bravo tesorino bello di mamma. Ah. Proprio a una rotonda, ti spegni? No no, hai ragione tu, hai fatto del tuo meglio, bravo bravo, non è successo niente. Almeno così pare a te, mio caro contenitore di neuroni spenti e demotivati. Ho fatto un piccolo incidente. Colpa mia. Ma con la figlia di Belzebù e sua sorella assetata di sangue. L'Idra, Medusa, la cugina del ciclope dell'Odissea (voi che mangiate pane e mitologia non preoccupatevi tanto di correggermi, io navigo nella mia ignoranza).
La signorina al volante, una zappa, una capra che è forse arrivata alla lettera d e poi più non sa, accompagnata da un'amorevole, gentile, morbida sorella dalla taglia di un orso grizzly e lo sguardo compiaciuto di una iena all'ora di cena. Capra e Iena, chiamiamole simpaticamente così. 
Il giorno seguente l'accaduto, mi si presentano a casa con un vortice di maleducazione e volgarità (suvvia, un toppettino alla flashdance con la collana con la croce a pietruzze viola? Madddai...). Il ficus all'entrata ha perso più foglie del solito. Le mie gatte si sono ritirate sotto il divano.
Iena tira fuori dal cappello, come un esaltante coup de théâtre, un foglietto del pronto soccorso, spiegandomi in toni dickensiani che si era svegliata, la mattina in questione, avvertendo dei grossi dolori lombari, ma che non riusciva a capacitarsi del perchè non li avesse sentiti al momento dell'impatto. "Se vuoi pagarmi anche le spese mediche..." EEEEEEH? Se fossi stata furba avrei dovuto dirle che anche io avevo avuto degli strani effetti il giorno seguente: nel mangiare i biscotti del Mulino Bianco mi ero improvvisamente accorta di desiderare fortemente il mio wc. L'impatto furibondo, tempestivo e intenso mi aveva provocato la celiachia. Brutta stronza. Tutto ciò che mi posso permettere al momento, poichè ho fatto solenne giuramento di non dire parolacce e improperi. csokdksjfkijdfkjtriewhjkkj! GNNNNNNNN!
E io sto buona, buona, rispondo educatamente perchè la legge dell'amore universale vuole così, digerisco, mando giù tutto l'amaro di ste brutte poiane e poi mi avvicino alla constatazione amichevole, già mezza compilata. "Non mi fido di quello che dici tu: chiamo la mia assicuratrice". Brrrr. Brutta slkfjkjodsghdsmnfskjhfsj. Cosa pensi, mi hai visto in faccia? Ti sembro forse un personaggio di un film di Tarantino? "sai, perchè non si sa mai: preferisco non fidarmi, dal momento che c'è certa gente in giro..." JHjudhfdsnfdjfjds. Rispetto il suo momento di chiarimento telefonico che si conclude con un: "devi scrivere qui sotto che hai torto". A fatica cerco di farle capire che non serve, dal momento che c'è un disegnino esplicativo con tanto di onomatopee crash bum bang alla fine del foglio. Noooo way. "Scrivilo che non mi fido". Ok, ok, va bene, altro zuccherino per la iena: eh no, però col cavolo che scrivo "ho torto". Fortunatamente Madre Natura mi ha fornito del dono del panegirico. Alla fine però l'ha vinta lei. dfiusinsjahdiausdjsadsdsadsaiiiii88jfhew8uryewhvuy!
Ditemi una cosa: impareranno mai queste persone ad essere meno brutte?
Io sono sostenitrice della gentilezza, e non saranno certo queste due rincretinite a farmi cambiare idea. ASDKDFJNDJFJDNFJDHFJENIUWOQI47327YFHJEKWKAJR50!

giovedì 1 novembre 2012

Recidiva.

Miei cari amici lettori (di nicchia,direi,e siatene fieri)vi scrivo all'anti-vigilia della mia novella dipartita per gli Stati Uniti.No,stavolta 6 giorni sono e 6giorni saranno,a meno che non mi tengano là a fare la volontaria nelle fognature del Bronx.Sandy.Già un nome patetico per designare una tempesta.Tipico humour americano.L'eroina zuccherosa di Grease mi rovinerà la vacanza.Ah,ma che dico,viaggio apocalittico.Io e un amico prete che quando lo racconto in giro scoppia l'ironia scontata 3x2 all'uccelli di rovo,e una decina di adolescenti in preda a crisi ormonali.Due appartamenti affittati nel Queens che pochi giorni fa ho visto bruciare in diretta dopo una televendita di mediashopping (ah,la televisione,quale maestra di vita...)da un tale che si dimentica di essere nato da utero materno sul pianeta Terra.Una metro in panne e la mia celiachia,che viaggia a braccetto con il mio innato slancio verso l'ottimismo.Va neh ragazzi,auguratemi in bocca al lupo.Auguratemi di non strappare la giugulare a morsi agli agenti della dogana,auguratemi di non lasciare appositamente le ragazze a qualche venditore di organi umani a Chinatown,auguratemi di non annegare piagnucolando nelle pozzanghere di Manhattan mentre la folla maratoneta mi calpesta senza pietà.E se ci rivediamo a casa,buona camicia a tutti.

sabato 7 aprile 2012

I difetti dell'educazione

Dunque. E' tempo di Pasqua. Fuori diluvia e io sono attaccata al computer manco fossi Zuckerberg. Ho appena bevuto del karkadè rimasto in infusione per almeno un'ora. Dire che assomiglia al brodo di pollo è dire poco. Indosso calzettoni grigi e una felpa di dubbio gusto. E mi sento una capra. Dirlo in periodo pasquale è tutto dire. Il capretto sono io. Ci sono troppi carnivori, nel mio entourage. E non so chi, forse qualche stupido pedagogista svizzero sdentato, ha scritto qualche assurda teoria sull'educazione delle persone complesse e tendenti alla lamentela schizofrenica. Non me ne vanto di certo, ma io rientro nella suddetta categoria, con la variante psico-artistica. No, no sfottete. Giovanni Muciaccia può dirsi artista e io no? Intendiamoci.
Bene, senza aprire ulteriori parentesi: fin da piccola la mia educazione è sempre stata basata sull'arcigno principio del "si lamenta e piagnucola, ergo, riempiamola di insulti formativi che così cresce bene e REAGISCE!". Santo cielo quanto ho odiato quel verbo. "REAGISCI!", manco fossi un elemento chimico pronto all'ossidazione. E che vuol dire reagire? Ah, vediamo se ho capito bene. Tu mi tiri un cazzotto e io mi rendo conto come un'illuminazione fulminante che la vita è dura, che non ho più denti, che sanguino ma tutto per un bene più grande, perchè lamentarsi non serve a niente mentre un cazzotto ti ricorda che puoi avere il labbro gonfio per anni senza ricorrere alla chirurgia e quindi ringraziare san Gennaro, tutti i santi del Paradiso e chicchessia. Ma che stupidate. Chi l'ha mai detto che il metodo rottweiler sia il più efficace? Bah. La cosa che mi stupisce di più è che tanti non sembrano aver capito che con me non funziona per niente. 
La mia maestra di teatro, chiamiamola Antida Maria Cleopatra, mi tratta esattamente in quel modo. Non so spiegarvi il rapporto di amore-odio che ho verso di lei. La vecchia storia del bastone e la carota. E io, polla al forno, mi lascio cuocere a fuoco lento. E scrivo tonnellate di sms alle mie amiche pazienti che invece di dare consigli ridono per la mia pochezza. E come dar loro torto, dico io. Questa donna forse ha letto le teorie di quel pedagogista svizzero. In momenti di completa serenità è un trionfo di complimentoni e attestati di stima, manda cuoricini su facebook (aaargh) e io, bella come il sole, ballo la danza della pioggia in mutande gonfia di patatine e orgoglio. La settimana seguente è capace di liquidarmi con commentini acidi su quanto io sia lamentosa e infantile. E tutto questo mentre infiamma d'amore per altre persone che cagano violette e che probabilmente guariscono i ciliegi malati e si nutrono di pace speranza cuore fiore amore. Bleah. E dov'è finita la democrazia? Forse dovrei evitare di osservare tutto nella minima particolarità, certo, la cosa mi fa assomigliare sempre più a un potenziale serial killer. Ma il mio animo contorto non può farne a meno, e sopratutto vibra sonoramente al richiamo della battaglia contro questo assurdo tipo di comportamento! Si, contro gli insulti "formativi" e le critiche "costruttive", siiiiiiiiiii! Altrimenti dovrò cominciare a sputare in faccia alle cassiere quando vado al supermercato (così capiscono che il loro lavoro sottopagato è importante), ruttare in pubblico durante le messe (così i chierichetti sfrecciano a pigliare l'incenso e improvvisamente realizzano la loro vocazione), dire al mio ragazzo che è un cesso (così mi amerà di più), spingere le nonnnine giù dalle corriere (così capiscono che io le ritengo abbastanza giovani per balzare in piedi in un baleno)... Potrei andare avanti per ore. Ma alla fine mi dico: non è meglio voler bene alle persone così come sono e accettare i loro momenti di scompenso? Sarà pure una conclusione banale, ma ci credo fermamente.

lunedì 5 marzo 2012

Caremberga in my heart,Caremberga beautiful town.

Chi vi scrive è una fuggitiva nata. Anche ora, mentre i miei colleghi sono in riunione, rifuggo il lavoro. Non so se a voi sia mai capitata quella sensazione fangosa di apnea che vi conduce irrimediabilmente a inventarvi la prima scusa imbecille per poi sparire nel nulla. A me succede molto spesso. E non so a chi sia realmente capitato di scappare da una fuga. Ah, questa vi mancava? Ebbene, io ce l'ho.
Per evitare di dare troppi dettagli e dare troppo nell'occhio, userò nomi fittizi. Tutto è cominciato da miei vaneggiamenti paranoici in un anno non troppo facile. C'è chi si inventa nuovi hobbies, chi comincia a studiare coreano, e chi si lancia nell'arte del punto croce. E c'è chi, invece, come me, cerca nuovi stimoli su Famiglia Cristiana. Sì. Annunci di lavoro, offerte di lavoro alla pari. "Beeeello", dico io, "adoro i bambini, loro mi adorano, e che problema c'è? Guarda poi sti qui, abitano a Caremberga, che fantastico nome per un paesino misticheggiante e folk...". Senza consultare nessuno, come mio solito, scrivo una mail di presentazione e la mando a chi di dovere. Brevemente, in pochi giorni l'accordo è stipulato, compro i biglietti aerei, assicurazione medica e tutto il necessario. Fuga progettata ad arte. Ta-daaan!
6 lunghissimi mesi di fuga verso l'ambita e anticipatamente amata Caremberga. Saluto tutti i cari e carissimi, famigliari e amiche che intonano per me un commosso coretto dal titolo "Caremberga in my heart, Caremberga beautiful town". Tutti già l'amano. Già mi vedo scendere dall'aereo fiera, con una nuova camicia grunge e un tatuaggio fatto dagli Indiani Cherokee che significa "l'armonia che ci hai portato è il respiro dell'universo ti ringraziamo infinitamente", ovviamente tutto in una significativissima sillaba.
La realtà, però, comincia ben presto a rivelarsi in tutta la sua crudeltà. Caremberga non è un posto così vicino. Per arrivarci servono due linee aeree, un'ora di macchina e innumerevoli ore di attesa. Attesa snervante nelle varie salette del grande aeroporto spesa a fissare con odio le felici coppiette in viaggio e i gruppetti di amici con lo zaino. Attesa ancora più snervante quando dal tabellone scompaiono i voli per la città più vicina a Caremberga. Dicono che a causa di una tempesta i voli saranno cancellati. Nel frattempo arrivano due donnone robuste che ci spediscono in una sottospecie di scantinato. Piango a dirotto come una bambina. Voglio la mamma. No, beh, ci sono arrivata, a Caremberga. Con gli occhi di Courtney Love dopo un rave party, ma ci sono arrivata. Alle 4 di mattina, contro le 18 programmate dalla mia timetable. Mi viene a prendere la signora Grace (chiamiamola così), che mi porta direttamente alla villetta fotocopia in un villaggio fotocopia dove le case non hanno recinzioni e dove i cervi vengono a passeggiare la mattina.
Dal primo momento sento che qualcosa non va. E' tutto troppo Steven King. No no no.
Il primo giorno mi svegliano all'alba questi bambini urlanti, e la giornata comincia. Babysitter per una serie di interminabili ore. Babysitter controllata dalla madre, che dalla porta del suo ufficio casalingo esce, di tanto in tanto, per amabili correzioni "ah, ma quella canzone proprio non la conosce, ascoltati questo dvd e imparati le canzoni...". Babysitter controllata dal padre, che, sentendomi sgridare un bambino frignone, esce da un altro ufficio casalingo (ma santo cielo, ma quante stanze hanno, le case americane?) e psicoanalizza il bambino in 5 secondi "come ti sei sentito al riguardo? Deluso? Arrabbiato? Impaurito...?"
No no, non ce la posso fare. Mi sento come in un bruttissimo b-movie. Devo scappare. Sono solo passati 4 giorni ma devo farlo. Invento una scusa patetica, avviso la capofamiglia e anticipo il biglietto di ritorno. Me ne torno a casa, dalla mamma! Peccato però che facebook sia la peggior pettegola. Qualcuno fa la spia, e riferisce tutto alla tenerissima capofamiglia. In breve, la sera prima della mia partenza, colei mi fa una scenata dandomi dell'irresponsabile disgustosa. Voglio la mamma, lo ribadisco.
La signora non mi parla per le successive 18 ore. La mattina della partenza scelgo di spegnere consapevolmente il sorriso per evitare che mi stacchi le vertebre a morsi. Dentro scoppio di felicità. 48 ore di viaggio e attese snervanti e io sono colma di gioia. Un'ora di viaggio sull'antipatico suv in completo mutismo. Se potessi mi butterei fuori sull'autostrada, mi farei calpestare da una mandria di bufali e impacchettare nel cellophane. E invece resisto, fino all'agognato aereoporto. Liquidata da una donna infuriata che se potesse mi butterebbe sul rollo del check-in.
Sono tornata dopo 6 giorni. 6 giorni lunghissimi. 4 aerei, 4 viaggi in macchina, un treno, un autobus. In 6 giorni. Vedere la mamma però ne è valsa decisamente la pena.

sabato 3 marzo 2012

La dura legge del lavello.

Parlando con un'amica, recentemente, ho scoperto che una delle probabili cause dei miei disordini mentali è il caos che regna nel lavello della cucina. Si dice in giro che avere il lavello pulito aiuti il corpo e la mente a rimanere in equilibrio. Equilibrio, questo sconosciuto. Ecco, in poche parole, il mio lavello è sempre in disordine. E sporco. E pieno di tracce di zampette che le mie gatte disegnano quando pretendono di bere l'acqua dal rubinetto. Devo dedurne che la mia vita ne è esattamente lo specchio? Ussignur, come si direbbe dalle mie parti. Ora, la reazione di una donna comunemente normale sarebbe quella di armarsi di guanti e spugnetta e lavare lavare e lavare fino a sentirsi accolte da un intenso respiro di sollievo universale. La mia reazione è guardare il mio lavello come fossi in un film western. Sfidarlo a duello. Provocarlo fino a renderlo umidiccio dalla paura. "Tzk, sono più forte di te. Uh, e cosa sono quelle goccine che pendono dal tuo rubinetto? Piangi forse? Ah! Ma io sono più forte di te, te l'ho forse già detto? Bene, lo ribadisco!" (Non trascrivo tutte le parole, la cosa potrebbe andare avanti per ore). E...... E stop. Il lavello non reagisce, quel maledetto esserino metallico tutto british. E a me è venuto il mal di gola. Non mi resta che l'arma migliore: lamentarsi borbottando. Non c'è nulla di meglio che borbottare fingendo di avere cose interessanti da dire. In conclusione, no, non credo che il lavello mi rappresenti. Solo non lo voglio pulire. Gli darei troppe, troppe soddisfazioni. Glielo leggo negli occhi: è quello che vuole. Non mi avrai mai.

mercoledì 29 febbraio 2012

Inizio apotropaico

Apotropaico. Che scaccia gli spiriti maligni, i piccoli demoni del mio cervello, gli odiosissimi trolls targati anni '90 che si divertono a tirare calci alla mia povera coscienza parlante. Dicono che scrivere serva a questo. Bene, dunque, inauguro il mio blog. A dire il vero la cosa mi fa un po' ridere. Non mi sento nè abbastanza interessante nè abbastanza disperata da richiedere la vostra attenzione. Ma la soluzione rimaneva questa. Altrimenti avrei cominciato a lanciare le mie gatte fino a spalmarle sulle finestre di casa mia o avrei telefonato piagnucolando a tutti gli esseri viventi del pianeta con cui ho avuto a che fare per almeno 10 minuti. Quindi, in sostanza, dato che le mie amiche le ho già tutte deformate in piccole opere espressioniste tedesche grazie alle mie lagne, mi rimaneva il blog. Che mi sia di augurio.