sabato 7 aprile 2012

I difetti dell'educazione

Dunque. E' tempo di Pasqua. Fuori diluvia e io sono attaccata al computer manco fossi Zuckerberg. Ho appena bevuto del karkadè rimasto in infusione per almeno un'ora. Dire che assomiglia al brodo di pollo è dire poco. Indosso calzettoni grigi e una felpa di dubbio gusto. E mi sento una capra. Dirlo in periodo pasquale è tutto dire. Il capretto sono io. Ci sono troppi carnivori, nel mio entourage. E non so chi, forse qualche stupido pedagogista svizzero sdentato, ha scritto qualche assurda teoria sull'educazione delle persone complesse e tendenti alla lamentela schizofrenica. Non me ne vanto di certo, ma io rientro nella suddetta categoria, con la variante psico-artistica. No, no sfottete. Giovanni Muciaccia può dirsi artista e io no? Intendiamoci.
Bene, senza aprire ulteriori parentesi: fin da piccola la mia educazione è sempre stata basata sull'arcigno principio del "si lamenta e piagnucola, ergo, riempiamola di insulti formativi che così cresce bene e REAGISCE!". Santo cielo quanto ho odiato quel verbo. "REAGISCI!", manco fossi un elemento chimico pronto all'ossidazione. E che vuol dire reagire? Ah, vediamo se ho capito bene. Tu mi tiri un cazzotto e io mi rendo conto come un'illuminazione fulminante che la vita è dura, che non ho più denti, che sanguino ma tutto per un bene più grande, perchè lamentarsi non serve a niente mentre un cazzotto ti ricorda che puoi avere il labbro gonfio per anni senza ricorrere alla chirurgia e quindi ringraziare san Gennaro, tutti i santi del Paradiso e chicchessia. Ma che stupidate. Chi l'ha mai detto che il metodo rottweiler sia il più efficace? Bah. La cosa che mi stupisce di più è che tanti non sembrano aver capito che con me non funziona per niente. 
La mia maestra di teatro, chiamiamola Antida Maria Cleopatra, mi tratta esattamente in quel modo. Non so spiegarvi il rapporto di amore-odio che ho verso di lei. La vecchia storia del bastone e la carota. E io, polla al forno, mi lascio cuocere a fuoco lento. E scrivo tonnellate di sms alle mie amiche pazienti che invece di dare consigli ridono per la mia pochezza. E come dar loro torto, dico io. Questa donna forse ha letto le teorie di quel pedagogista svizzero. In momenti di completa serenità è un trionfo di complimentoni e attestati di stima, manda cuoricini su facebook (aaargh) e io, bella come il sole, ballo la danza della pioggia in mutande gonfia di patatine e orgoglio. La settimana seguente è capace di liquidarmi con commentini acidi su quanto io sia lamentosa e infantile. E tutto questo mentre infiamma d'amore per altre persone che cagano violette e che probabilmente guariscono i ciliegi malati e si nutrono di pace speranza cuore fiore amore. Bleah. E dov'è finita la democrazia? Forse dovrei evitare di osservare tutto nella minima particolarità, certo, la cosa mi fa assomigliare sempre più a un potenziale serial killer. Ma il mio animo contorto non può farne a meno, e sopratutto vibra sonoramente al richiamo della battaglia contro questo assurdo tipo di comportamento! Si, contro gli insulti "formativi" e le critiche "costruttive", siiiiiiiiiii! Altrimenti dovrò cominciare a sputare in faccia alle cassiere quando vado al supermercato (così capiscono che il loro lavoro sottopagato è importante), ruttare in pubblico durante le messe (così i chierichetti sfrecciano a pigliare l'incenso e improvvisamente realizzano la loro vocazione), dire al mio ragazzo che è un cesso (così mi amerà di più), spingere le nonnnine giù dalle corriere (così capiscono che io le ritengo abbastanza giovani per balzare in piedi in un baleno)... Potrei andare avanti per ore. Ma alla fine mi dico: non è meglio voler bene alle persone così come sono e accettare i loro momenti di scompenso? Sarà pure una conclusione banale, ma ci credo fermamente.