lunedì 5 marzo 2012

Caremberga in my heart,Caremberga beautiful town.

Chi vi scrive è una fuggitiva nata. Anche ora, mentre i miei colleghi sono in riunione, rifuggo il lavoro. Non so se a voi sia mai capitata quella sensazione fangosa di apnea che vi conduce irrimediabilmente a inventarvi la prima scusa imbecille per poi sparire nel nulla. A me succede molto spesso. E non so a chi sia realmente capitato di scappare da una fuga. Ah, questa vi mancava? Ebbene, io ce l'ho.
Per evitare di dare troppi dettagli e dare troppo nell'occhio, userò nomi fittizi. Tutto è cominciato da miei vaneggiamenti paranoici in un anno non troppo facile. C'è chi si inventa nuovi hobbies, chi comincia a studiare coreano, e chi si lancia nell'arte del punto croce. E c'è chi, invece, come me, cerca nuovi stimoli su Famiglia Cristiana. Sì. Annunci di lavoro, offerte di lavoro alla pari. "Beeeello", dico io, "adoro i bambini, loro mi adorano, e che problema c'è? Guarda poi sti qui, abitano a Caremberga, che fantastico nome per un paesino misticheggiante e folk...". Senza consultare nessuno, come mio solito, scrivo una mail di presentazione e la mando a chi di dovere. Brevemente, in pochi giorni l'accordo è stipulato, compro i biglietti aerei, assicurazione medica e tutto il necessario. Fuga progettata ad arte. Ta-daaan!
6 lunghissimi mesi di fuga verso l'ambita e anticipatamente amata Caremberga. Saluto tutti i cari e carissimi, famigliari e amiche che intonano per me un commosso coretto dal titolo "Caremberga in my heart, Caremberga beautiful town". Tutti già l'amano. Già mi vedo scendere dall'aereo fiera, con una nuova camicia grunge e un tatuaggio fatto dagli Indiani Cherokee che significa "l'armonia che ci hai portato è il respiro dell'universo ti ringraziamo infinitamente", ovviamente tutto in una significativissima sillaba.
La realtà, però, comincia ben presto a rivelarsi in tutta la sua crudeltà. Caremberga non è un posto così vicino. Per arrivarci servono due linee aeree, un'ora di macchina e innumerevoli ore di attesa. Attesa snervante nelle varie salette del grande aeroporto spesa a fissare con odio le felici coppiette in viaggio e i gruppetti di amici con lo zaino. Attesa ancora più snervante quando dal tabellone scompaiono i voli per la città più vicina a Caremberga. Dicono che a causa di una tempesta i voli saranno cancellati. Nel frattempo arrivano due donnone robuste che ci spediscono in una sottospecie di scantinato. Piango a dirotto come una bambina. Voglio la mamma. No, beh, ci sono arrivata, a Caremberga. Con gli occhi di Courtney Love dopo un rave party, ma ci sono arrivata. Alle 4 di mattina, contro le 18 programmate dalla mia timetable. Mi viene a prendere la signora Grace (chiamiamola così), che mi porta direttamente alla villetta fotocopia in un villaggio fotocopia dove le case non hanno recinzioni e dove i cervi vengono a passeggiare la mattina.
Dal primo momento sento che qualcosa non va. E' tutto troppo Steven King. No no no.
Il primo giorno mi svegliano all'alba questi bambini urlanti, e la giornata comincia. Babysitter per una serie di interminabili ore. Babysitter controllata dalla madre, che dalla porta del suo ufficio casalingo esce, di tanto in tanto, per amabili correzioni "ah, ma quella canzone proprio non la conosce, ascoltati questo dvd e imparati le canzoni...". Babysitter controllata dal padre, che, sentendomi sgridare un bambino frignone, esce da un altro ufficio casalingo (ma santo cielo, ma quante stanze hanno, le case americane?) e psicoanalizza il bambino in 5 secondi "come ti sei sentito al riguardo? Deluso? Arrabbiato? Impaurito...?"
No no, non ce la posso fare. Mi sento come in un bruttissimo b-movie. Devo scappare. Sono solo passati 4 giorni ma devo farlo. Invento una scusa patetica, avviso la capofamiglia e anticipo il biglietto di ritorno. Me ne torno a casa, dalla mamma! Peccato però che facebook sia la peggior pettegola. Qualcuno fa la spia, e riferisce tutto alla tenerissima capofamiglia. In breve, la sera prima della mia partenza, colei mi fa una scenata dandomi dell'irresponsabile disgustosa. Voglio la mamma, lo ribadisco.
La signora non mi parla per le successive 18 ore. La mattina della partenza scelgo di spegnere consapevolmente il sorriso per evitare che mi stacchi le vertebre a morsi. Dentro scoppio di felicità. 48 ore di viaggio e attese snervanti e io sono colma di gioia. Un'ora di viaggio sull'antipatico suv in completo mutismo. Se potessi mi butterei fuori sull'autostrada, mi farei calpestare da una mandria di bufali e impacchettare nel cellophane. E invece resisto, fino all'agognato aereoporto. Liquidata da una donna infuriata che se potesse mi butterebbe sul rollo del check-in.
Sono tornata dopo 6 giorni. 6 giorni lunghissimi. 4 aerei, 4 viaggi in macchina, un treno, un autobus. In 6 giorni. Vedere la mamma però ne è valsa decisamente la pena.

sabato 3 marzo 2012

La dura legge del lavello.

Parlando con un'amica, recentemente, ho scoperto che una delle probabili cause dei miei disordini mentali è il caos che regna nel lavello della cucina. Si dice in giro che avere il lavello pulito aiuti il corpo e la mente a rimanere in equilibrio. Equilibrio, questo sconosciuto. Ecco, in poche parole, il mio lavello è sempre in disordine. E sporco. E pieno di tracce di zampette che le mie gatte disegnano quando pretendono di bere l'acqua dal rubinetto. Devo dedurne che la mia vita ne è esattamente lo specchio? Ussignur, come si direbbe dalle mie parti. Ora, la reazione di una donna comunemente normale sarebbe quella di armarsi di guanti e spugnetta e lavare lavare e lavare fino a sentirsi accolte da un intenso respiro di sollievo universale. La mia reazione è guardare il mio lavello come fossi in un film western. Sfidarlo a duello. Provocarlo fino a renderlo umidiccio dalla paura. "Tzk, sono più forte di te. Uh, e cosa sono quelle goccine che pendono dal tuo rubinetto? Piangi forse? Ah! Ma io sono più forte di te, te l'ho forse già detto? Bene, lo ribadisco!" (Non trascrivo tutte le parole, la cosa potrebbe andare avanti per ore). E...... E stop. Il lavello non reagisce, quel maledetto esserino metallico tutto british. E a me è venuto il mal di gola. Non mi resta che l'arma migliore: lamentarsi borbottando. Non c'è nulla di meglio che borbottare fingendo di avere cose interessanti da dire. In conclusione, no, non credo che il lavello mi rappresenti. Solo non lo voglio pulire. Gli darei troppe, troppe soddisfazioni. Glielo leggo negli occhi: è quello che vuole. Non mi avrai mai.